i cantieri di Betania

Invito del vescovo per il 2 anno del Sinodo

In questo secondo anno, possiamo porre altrettanta passione e creatività per incontrare gruppi e persone che non abbiamo incontrato e che invece desideriamo ascoltare per crescere insieme. Sarà l’opportunità di consolidare il “metodo della conversazione spirituale” a partire dall’ascolto della Parola di Dio in piccoli gruppi, disposti alla condivisione della risonanza interiore che essa produce. Nello stesso tempo, è parso opportuno orientare l’ascolto del secondo anno lungo alcuni “cantieri”.A partire dall’immagine della “casa di Betania”, i Vescovi e l’equipe nazionale del cammino sinodale ci propongono questi “cantieri”:

Il cantiere dei villaggi

Gesù giunge alla casa di Betania dopo aver percorso strade e villaggi e aver così incontrato le persone nel loro habitat naturale. Ugualmente, anche noi siamo invitati a prestare ascolto ai diversi ambienti in cui i cristiani vivono e lavorano. Potremo curare l’ascolto di quegli ambiti che sembrano essere rimasti in silenzio o inascoltati: innanzitutto il mondo delle povertà, delle fragilità e delle molte forme di emarginazione, esclusione o discriminazione (nella società come nella comunità cristiana) e poi il mondo della cultura e delle religioni, delle arti e dello sport, dell’economia, delle professioni, dell’impegno politico e sociale. Il Concilio Vaticano II, profezia dei tempi moderni e punto di riferimento per il Cammino, ha ricordato che la Chiesa non solo offre, ma anche riceve dal mondo (cf. GS 44-45). Questa attenzione ci porterà a misurarci con la questione dei nostri linguaggi, che in alcuni casi risultano difficili da decodificare per chi non li frequenta abitualmente. Alcune domande ci possono aiutare a cogliere chi ancora è escluso

In concreto, verso quali ambienti vitali possiamo allargare il raggio del nostro ascolto?
Chi vorremmo effettivamente ascoltare per conoscere meglio il nostro territorio?
Di quali linguaggi dobbiamo diventare più esperti?
Come comunità ecclesiale, da quali attori o gruppi sociali possiamo dire di aver imparato qualcosa?

Il cantiere delle case

Nella casa di Betania, stanco del suo camminare a servizio del regno, Gesù ha sperimentato l’accoglienza e il calore dell’amicizia, importanti per riprendere le forze lungo il suo impegnativo cammino. Le comunità cristiane attraggono quando si configurano come “case di Betania”, non come nidi in cui nascondersi, bensì come luoghi in cui si vive concretamente l’accoglienza e la cura dei più fragili; dove si vive la fraternità, dove si impara la fede (“piccola chiesa domestica”). Gli interrogativi di questo secondo cantiere riguardano la qualità delle relazioni vissute in comunità, come pure il peso e il senso delle strutture pastorali e spirituali (in particolare i Consigli…), perché siano poste al servizio della missione e non assorbano energie per la sola autoconservazione.

In quali momenti e attività, la comunità parrocchiale si pone in ascolto della Parola e della vita?
Di quali strutture la comunità ha effettivamente bisogno per l’evangelizzazione e quali invece potrebbe dismettere?
Quale autorità si è disposti a riconoscere agli organismi di partecipazione ecclesiale nell’esercizio della comune vocazione battesimale?
Che cosa possiamo cambiare perché gli uomini e le donne del nostro tempo si sentano a casa nelle nostre comunità?

Il cantiere delle diaconie

Nella casa di Betania, Gesù incontra accoglienza e ascolto, e allo stesso tempo affanno e ansietà. Un servizio che non parte dall’ascolto, crea dispersione, preoccupazione e agitazione per i molti servizi. Lo sa bene Marta, ma anche noi a volte cadiamo nel “martalismo”. Nel “cantiere delle diaconie”, che focalizza l’ambito dei “servizi” ecclesiali, ci interroghiamo sulla loro qualità. Spesso la pesantezza nel servire nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cfr. Evangelii gaudium 33), dall’accumulo di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili, dal trascurare inevitabilmente la centralità dell’ascolto e delle relazioni.

Ci possiamo anche interrogare sul tema della corresponsabilità per la missione, oltre l’idea della semplice collaborazione. Sappiamo suscitare collaborazione, predisponiamo occasioni di formazione, valorizziamo le ministerialità istituite, le diverse vocazioni e i servizi ecclesiali, innestati nella comune vocazione battesimale del popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”? I carismi, servizi e ministeri

nella Chiesa non sono semplicemente diaconie interne alla comunità, ma sono diaconie missionarie, segno e strumento della cura della comunità cristiana verso tutti, specialmente verso i poveri e gli emarginati, con particolare attenzione alla cultura e agli ambienti sociali in cui viviamo.

Che cosa può aiutare a liberareil tempo necessario per avere cura delle relazioni?

Cè sete di spiritualità. Quali accompagnamenti possiamo offrire nella comunità cristiana (e non solo nei gruppi e movimenti)?

Quali dinamiche possono favorire la corresponsabilità di tutti i battezzati?

Come coinvolgere le donne e le famiglie nella formazione e nellaccompagnamento?

Come possiamo costruire itinerari formativi alla dimensione del camminare insiemeper le diverse figure e i diversi soggetti della comunità ecclesiale (presbiteri, religiose/i, laiche/i)?

Accanto a questi tre cantieri, Ogni Chiesa locale è poi invitata ad individuare un “quarto cantiere”. Per la diocesi di Vicenza, dopo avere ascoltato tanti fratelli e sorelle, propongo, come quarto cantiere, il cantiere della missione. L’Eucaristia domenicale dovrebbe essere il momento in cui confluiscono le attività e i servizi in atto e che trovano la loro radice nell’eucaristia, diventando così “diaconie missionarie”.


Sintesi dei tre incontri del “Cantiere della strada e del villaggio”


(Alice, Maddalena, Pabla, Serafino)

Gli incontri hanno visto il coinvolgimento di 36 persone così suddivise:
Trenta genitori appartenenti ai gruppi del 1°, 2° e 3 anno di “catechismo di stile catecumenale” residenti nel territorio dell’Unità Pastorale dell’Alpone;
Sei genitori di ragazzi e adulti, con vari tipi di disabilità, ospitati in un Centro Diurno, gestito da una Cooperativa Sociale presente nel territorio della vallata d’Alpone. Il Centro Diurno ospita in totale trenta persone, a tutte le famiglie era stato rivolto l’invito all’ascolto. Hanno accolto l’invito cinque famiglie su trenta; inoltre l’invito era stato esteso, attraverso la Direzione del Centro, a tutti gli operatori, coinvolti a vario titolo nella cura della fragilità, nessuno di loro ha aderito alla proposta. Non siamo a conoscenza delle motivazioni del rifiuto, riteniamo comunque che il “No” ricevuto abbia un suo significato che meriterà di essere analizzato nella fase successiva, “Sapienziale”, del cammino sinodale.
Alla domanda inziale: avete sentito parlare di Sinodo delle Chiese in Italia? Sapete cos’è il Sinodo? Nessun genitore ha dimostrato di avere conoscenza del significato della parola, ma solo di averne sentito parlare in modo molto vago.
Dopo la prima domanda abbiamo letto una storia, diversa per ognuno dei due gruppi, seguendo le indicazioni trovate in un vademecum per facilitatori. Le storie contenevano le esperienze di due famiglie messe di fronte una al dolore per la perdita di un figlio e l’altra alle scelte di vita dei figli non conformi al desiderio de genitori. Le due storie hanno svolto la funzione di facilitare l’avvio dell’ascolto quando abbiamo chiesto: cosa vi colpisce del racconto ascoltato? In quali parole vi riconoscete?
La sintesi è esposta segue alcuni dei “dieci nuclei attorno a cui sono state organizzate le riflessioni emerse dalle sintesi diocesane”: ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa..”. Alcune parole che sono maggiormente risuonate, durante l’ascolto, le abbiamo considerate all’interno di uno dei nuclei, avendone riscontrato attinenza di significato.
Ascoltare: in tutti i gruppi si conferma la mancanza di ascolto attivo delle famiglie, in particolare quelle degli ospiti disabili avvertono la solitudine e l’isolamento nei confronti della comunità parrocchiale. La frase significativa emersa è che “la loro parrocchia è la Cooperativa” intesa come comunità a cui si sentono di appartenere;
Accogliere: non è uno stile diffuso che caratterizza la comunità parrocchiale, ma dipende molto dalle persone che si incontrano (sacerdoti, operatori pastorali, singoli fedeli). Alcuni genitori del catechismo, con situazioni famigliari particolari (coppie separate), hanno sperimentato il rifiuto, altri che frequentavano le celebrazioni con figli piccoli e vivaci si sono visti più volte richiamati, altri con figli disabili si sono visti “rifiutati”: un ragazzo disabile non è stato accolto tra i chierichetti, un altro è stato allontanato dal Grest perché era di “disturbo”. Tutti questi episodi hanno lasciato un segno nelle famiglie che nei primi due casi hanno portato ad interrompere la partecipazione alla messa, oppure si sono aggregati ad un’altra comunità parrocchiale ritenuta più accogliente. Un padre ha affermato che “all’inizio non siamo più andati a messa perché avevamo due figli piccoli adesso non andare a messa è diventata la regola”. Nel caso delle famiglie disabili il sentirsi di “disturbo” è una ferita ancora aperta.
Relazioni: in tutte le famiglie è emerso il bisogno di relazionarsi con gli altri, soprattutto le famiglie degli ospiti disabili hanno specificato che una delle motivazioni per cui vanno a messa è quella di avere l’opportunità di incontrare qualcuno con cui parlare, dopo la fine della celebrazione. Spesso questo loro desiderio viene frustrato con motivazioni varie: non ho tempo, mi dispiace ma ho un altro impegno, ci sono altre persone che mi aspettano… Le famiglie dei ragazzi del catechismo hanno affermato che la comunità parrocchiale di appartenenza è “vivibile”.
Le famiglie degli ospiti disabili hanno espresso il desiderio che si arrivi alla creazione di gruppi che portino all’interazioni delle famiglie e dei ragazzi, affinché si possa parlare dei loro problemi o anche solo per incontrarsi e vivere assieme alle altre famiglie. “Questi ragazzi necessitano di uscire e creare relazioni con altri per evitare che si rintanino in casa e non vogliano più uscire” (le parole maggiormente risuonate sono state “rifiuto e disturbo”). I genitori del catechismo hanno lamentato l’assenza di un oratorio dove portare i figli a giocare.
Celebrare: tutti i genitori ascoltati hanno dichiarato la loro fede in Dio, hanno affermato di essere alla ricerca di Dio e di avvertire la presenza del Signore nelle loro vite, soprattutto nei momenti di difficoltà. La preghiera in famiglia è una prassi segnalata, anche se non da tutti. Hanno un ricordo dei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana ricevuti e hanno sottolineato che la formazione ricevuta, con i valori trasmessi, continua ad essere importante nelle scelte della loro vita. E’ stato poi affermato che “non sempre i sacramenti vengono ricevuti con la necessaria consapevolezza tranne che per il matrimonio”. Per molti genitori la frequenza alle celebrazioni è discontinua, in parte per le motivazioni già espresse al punto 2) e che hanno a che vedere con i termini “rifiuto” e “disturbo” e in parte perché le celebrazioni sono “ripetitive, meccaniche, stancanti”, soprattutto se si hanno bambini piccoli. Una madre ha affermato che il figlio piccolo le chiede spesso “mamma quando finisce?”. A questo riguardo è stata segnalata la presenza, in alcune chiese, di un’area gioco per i bambini più piccoli. Altra criticità segnalata è lo scarso coinvolgimento dei fedeli nelle celebrazioni, viene quindi proposto un “maggiore coinvolgimento anche durante le omelie che molto spesso non sono agganciate alla vita quotidiana” e “lasciare che le famiglie possano esprimersi”. Una frase ripetuta da alcuni genitori è stata “la società è andata avanti mentre la Chiesa è rimasta ferma”.
La Chiesa. A questo punto è stata posta a tutti i genitori la seguente domanda: quale immagine vi viene in mente quando sentite la parola Chiesa? Le famiglie degli ospiti disabili hanno risposto in successione: Dio, una chiesa/edificio con davanti tante persone, una processione di persone. Queste famiglie partecipano attivamente alla vita in parrocchia, ma nonostante questo spesso vengono “messi da parte o non considerati”.
Le famiglie dei ragazzi del catechismo hanno risposto: Dio, il parroco, l’edificio di culto, il Vaticano. Un genitore ha aggiunto: “ho pensato alla chiesa come comunità da quando ho visto i figli che partecipano al catechismo”. Alla domanda la Chiesa è aperta a tutti? La Chiesa ascolta tutti? La Chiesa accoglie tutti? La risposta in sintesi è stata la seguente: “la chiesa dovrebbe essere aperta a tutti, ma non sempre lo è, non accoglie sempre tutti, ad esempio le coppie separate, non ascolta sempre tutti”. Altri genitori hanno invece aggiunto che dipende molto dalle persone che si incontrano, come se l’accoglienza e l’ascolto fossero più legate alla disponibilità del singolo sacerdote o della singola persona che si incontrano, che ad uno stile diffuso. Alcuni genitori del catechismo hanno aggiunto di aumentare il coinvolgimento e la responsabilità dei laici e delle donne per far fronte alla mancanza di sacerdoti.
Dialogo: Una madre del catechismo ha sottolineato che a “decidere sono sempre le stesse persone”. Ma anche a questo riguardo è stato sottolineato che il dialogo dipende “da chi c’è” in quel dato momento.
Comunicazione e linguaggio: a proposito del linguaggio utilizzato dalla Chiesa le famiglie dei disabili hanno affermato che sostanzialmente dipende dalle “persone che si hanno davanti”, alcune parlano in modo genuino, comprensibile e coinvolgente, altre usano dei termini “elevati” e non di facile comprensione per la comunità. Hanno aggiunto che l’omelia è di grande aiuto nella loro vita se esposta in un linguaggio semplice, senza dimenticare che anche loro esistono. Una madre ha aggiunto che quando ciò non accade l’attenzione è molto difficoltosa. I genitori dei ragazzi del catechismo hanno ripetuto gli stessi contenuti aggiungendo il termine “soporifero”, in riferimento al linguaggio, per indicare la difficoltà a mantenere l’attenzione.
Risonanza incontro con famiglie disabili: alla fine dell’incontro il feedback da parte dei partecipanti è risultato ottimo, felici di questa chiacchierata e di questo confronto aperto, il sentirsi ascoltati e ascoltare risulta sollevare le persone e aiutarle ad aprirsi e sfogarsi, ha alleggerito molto gli animi e donato fiducia ai partecipanti. Ogni individuo ha parlato della propria esperienza apertamente e senza sentirsi giudicati o intimoriti. La frase significativa pronunciata alla fine dell’incontro, da una sorella di un ospite, è stata la seguente: “siamo contenti di esserci ascoltati”. Quell’esserci ha incluso anche noi, gruppo di ascolto, la barriera “Noi/Voi” è saltata ed è rimasto solo il “Noi”.
Risonanza famiglie catechismo: espressa soddisfazione per avere avuto l’opportunità di essere ascoltati e di esprimere con libertà la propria opinione. Se la Chiesa proseguirà su questa strada dell’apertura e dell’ascolto di tutti si è molto fiduciosi che “potrà cambiare qualcosa”.